Piero Anfossi
Mai come in questo periodo di clausura obbligata, chi vive in città avverte la mancanza del contatto con la natura, tra l’altro in un periodo in cui abbondano le fioriture primaverili. Anche se il verde in città è generalmente rappresentato soltanto da parchi e giardini, grazie ad essi chiunque può concedersi qualche istante di relax all’aria aperta. Proprio per questa ragione, impedire l’accesso a questi luoghi tanto rari quanto preziosi, oggi ci sembra surreale. In alternativa, ognuno cerca di sopperire alla chiusura dei cancelli come può, dedicandosi alla cura di piante e fiori sul balcone di casa o, per i più fortunati, occupandosi del proprio giardino o, come ultima risorsa, accontentandosi del contatto virtuale con la natura tramite internet. Fatto sta che di tutta questa voglia di stare all’aria aperta, pare si avverta il bisogno solo quando questa possibilità viene preclusa. Poco prima della serrata di parchi e giardini, comunque già in periodo di restrizioni da coronavirus, la presenza di persone risultava in numero ben maggiore di quanto non accadesse in tempi normali. Probabilmente si trattava del desiderio di uscire di casa ad ogni costo, una sorta di evasione dalle pareti domestiche, assimilate a quelle delle carceri o dei conventi di clausura. Tutta questa voglia di frequentare le aree verdi, anche da parte di coloro che fino all’altro ieri non lo avrebbero neppure lontanamente ipotizzato, fa comunque riflettere su quanto sia prezioso ed irrinunciabile disporre di questi spazi. Il fatto è che per chi vive in città vi sono molte altre occasioni di evasione e di svago, con un ampio ventaglio di offerte alternative più dettate dall’abitudine che da una reale necessità.
La natura, le piante, il paesaggio dovrebbero essere componenti irrinunciabili del nostro vivere quotidiano, almeno quanto lo avvertiamo ora che ce ne sentiamo privati. Invece, in tempi normali, molti cittadini non saprebbero neppure dire se vi siano zone verdi nel quartiere dove abitano o alberi lungo le strade che percorrono quotidianamente in auto per recarsi al lavoro. Del resto abituato com’è a viaggiare da solo, stressato dal traffico urbano, il povero cittadino sempre più auto-dipendente non può certo perdere tempo a guardarsi attorno (ovviamente in senso ironico). Sotto questo aspetto l’uomo d’oggi può ben definirsi un animale straordinario, nel senso che di animalesco ha ormai ben poco, salvo per qualche manifestazione ancestrale del proprio carattere. Il progresso tecnologico lo ha trasformato vieppiù in un inconsapevole automa, schiavo delle sue stesse invenzioni. Dopo l’automobile, bene irrinunciabile, oggi computer e cellulare, compagni inseparabili nel lavoro, nello studio o semplicemente di svago, condizionano il nostro vivere quotidiano nelle abitudini come nei rapporti interpersonali. Mi si lasci pensare, con buona pace di storici ed evoluzionisti, che mai eventi sociali o processi naturali in passato abbiano agito più in fretta e inciso più a fondo sul comportamento dell’umana specie, di quanto stiano facendo i moderni ritrovati tecnologici che, volenti o nolenti, la società odierna ci costringe ad utilizzare. Forse soltanto il coronavirus riuscirà a cambiare altrettanto velocemente le nostre abitudini, anche dopo questo periodo di emergenza. Al di là di improbabili previsioni future che lascio a maghi, astrologi e a chi ci crede, resta il fatto che parchi e giardini rivestono un ruolo troppo spesso sottovalutato dal punto di vista della salute. Si tratta infatti di veri e propri polmoni verdi che restituiscono un po’ di ossigeno ad una comunità sempre più soffocata dall’inquinamento atmosferico. Peccato che al prezioso ruolo che riveste il verde pubblico non sempre corrisponda la dovuta attenzione da parte degli enti responsabili, perlomeno per quanto riguarda la cura e manutenzione.